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Il cacciatore sfortunato

C’era una volta il ragionier Bianchi di Varese. Era un rappresentante di commercio e sei giorni su sette girava l’Italia intera a est a sud a nord, in mezzo, vendendo medicinali. La domenica tornava a casa sua, e il lunedì ripartiva. Ma prima che partisse la sua bambina gli diceva: “Mi raccomando, papà: tutte le sere una storia”.
Perché quella bambina non poteva dormire senza una storia, e la mamma, quelle che sapeva, gliele aveva già raccontate tutte almeno tre volte. Così ogni sera, dovunque si trovasse, alle nove in punto il ragionier Bianchi chiamava al telefono Varese e raccontava una storia alla sua bambina.
Questo libro contiene appunto le storie del ragionier Bianchi. Vedrete che sono tutte un po’ corte: per forza, il ragioniere pagava il telefono di tasca sua, non poteva fare telefonate troppo lunghe. Solo qualche volta, se aveva concluso buoni affari, si permetteva qualche “unità” in più. Mi hanno detto che quando il signor Bianchi chiamava Varese le signorine del centralino sospendevano tutte le telefonate per ascoltare le sue storie. Sfido: alcune sono proprio belline!

Il cacciatore sfortunato

“Prendi il fucile, Giuseppe, prendi il fucile e vai a caccia”, disse una mattina al suo figliolo quella donna.
“Domani tua sorella si sposa e vuol mangiare polenta e lepre”.
Giuseppe prese il fucile e andò a caccia. Vide subito una lepre che balzava da una siepe e correva in un campo. Puntò il fucile, prese la mira e premette il grilletto.
Ma il fucile disse: “Pum!” proprio con voce umana, e invece di sparar fuori la pallottola la fece cadere per terra.
Giuseppe la raccattò e la guardava meravigliato.
Poi osservò attentamente il fucile, e pareva proprio lo stesso di sempre, ma intanto invece di sparare aveva detto: “Pum!” con una vocetta allegra e fresca.
Giuseppe scrutò anche dentro la canna, ma com’era possibile, andiamo, che ci fosse nascosto qualcuno? Difatti dentro la canna non c’era niente e nessuno.
“E la mamma che vuole la lepre. E mia sorella che vuol mangiarla con la polenta…”.
In quel momento la lepre di prima ripassò davanti a Giuseppe, ma stavolta aveva un velo bianco in testa, e dei fiori d’arancio sul velo, e teneva gli occhi bassi, e camminava a passettini passettini.
“Toh,” disse Giuseppe “anche la lepre va a sposarsi. Pazienza, tirerò un fagiano”.
Un po’ più in là nel bosco, difatti, vide un fagiano che passeggiava sul sentiero, per nulla spaventato, come il primo giorno della caccia, quando i fagiani non sanno ancora che cosa sia un fucile.
Giuseppe prese la mira, tirò il grilletto, e il fucile fece: Pam! disse: “Pam! Pam!”, due volte come avrebbe fatto un bambino col suo fucile di legno. La cartuccia cadde in terra e spaventò certe formiche rosse, che corsero a rifugiarsi sotto un pino.
“Ma benone”, disse Giuseppe che cominciava ad arrabbiarsi, “la mamma sarà contenta davvero se torno col carniere vuoto”.
Il fagiano, che a sentire quel pam, pam, si era tuffato nel folto, ricomparve sul sentiero, e stavolta lo seguivano i suoi piccoli, in fila, con una gran voglia di ridere addosso, e dietro a tutti camminava la madre, fiera e contenta come se le avessero dato il primo premio.
“Ah, tu sei contenta, tu” borbottò Giuseppe. “Tu ti sei già sposata da un pezzo. E adesso a che cosa tiro?”.
Ricaricò il fucile con gran cura e si guardò intorno. C’era soltanto un merlo su un ramo, e fischiava come per dire: “Sparami, sparami”.
E Giuseppe sparò. Ma il fucile disse: Bang!, come i bambini quando leggono i fumettti. E aggiunse un rumorino che pareva una risatina. Il merlo fischiò più allegramente di prima, come per dire: “Hai sparato, hai sentito, hai la barba lunga un dito”.
“Me l’aspettavo”, disse Giuseppe. “Ma si vede che oggi c’è lo sciopero dei fucili”.
“Hai fatto buona caccia, Giuseppe?” gli domandò la mamma, al ritorno.
“Si mamma. Ho preso tre arrabbiature belle grosse. Chissà come saranno buone, con la polenta”.